dalla Foresta di Hambach, scritto nel novembre 2023
E’ da quattro giorni ormai che sono qui. Eppure sento di dovermi ancora ambientare, di dover ancora conoscere le regole non scritte di questa foresta. C’è ben poco di scritto in effetti: quasi tutto passa a voce, o nel semplice osservare e capire a distanza.
Siamo quasi tutte poco avvezze alla vita tra gli alberi e questo si nota: negli sguardi, nei movimenti, nelle posture. Gran parte di noi viene dalle città e da una condizione relativamente agiata. Le nostre facce sono delicate, gentili e quasi un po’ intimorite dal giudizio altrui. Siamo qui per conoscerci, del resto, e per (dis)imparare l’uno dall’altra. Quasi da zero, in una sorta di scoutismo compagno. C’è chi rimane pochissimo, giusto il tempo di vedere con i propri occhi; c’è chi rimane di più, con l’intento di conoscere questo luogo più a fondo possibile, mettendosi veramente in discussione.
E’ il mio quarto giorno, o meglio la mia quarta notte. E mi incammino nell’oscurità verso la mia tenda, seguendo il sentiero principale. Mi ferma subito una persona: “Ehi tu, potresti per favore spegnere o attenuare la luce frontale? E’ un po’ molesta”. Mi colpisce la sua cortesia, il suo modo in un certo senso tedesco di chiedere le cose. E soprattutto mi accorgo di avere un frontalino davvero accecante. Fu provvidenziale trovarlo a un Aldi qualche giorno prima, ma quello che mi ritrovo ora è una pesante scatolina che spara solo luce bianca (a differenza di quasi tutte le altre persone munite di luce rossa), decisamente scomoda da legare alla testa e di certo poco rassicurante per lx passanti che incrocio. Decido allora di spegnere la luce e di proseguire il mio cammino al buio. Dopo qualche secondo di oscurità totale-spaesamento-angoscia, la mia vista piano piano si adatta al paesaggio notturno. Riconosco gli alberi e le loro ombre, la luna riflette le pozzanghere che bucano il sentiero davanti a me. Il tatto e l’udito si amplificano, ho bisogno di tutti i miei sensi e di tutto il mio equilibrio per andare avanti. Faccio letteralmente attenzione a dove metto i piedi, ogni passo è un movimento cosciente e ponderato. Sento il contatto con la terra sotto di me, sto reimparando a camminare. Accompagnato e aiutato dalla luna crescente, proseguo questo esercizio nei giorni seguenti, fino ad accorgermi di non avere più bisogno di una luce frontale. E finalmente, che gioia per i miei occhi una luna piena! Sono in estasi. Non mi ero mai goduta così a pieno la luce naturale notturna. E nel frattempo, ho ormai imparato a vedere al buio.